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Santi del 1 Aprile

Il mio Santo > I Santi di Aprile

*Sante Agape e Chionia - Martiri a Salonicco (1 Aprile)

m. Salonicco, 304
Emblema:
Palma
Martirologio Romano: A Salonicco in Macedonia, ora in Grecia, Sante Agape e Chionia, vergini e martiri, che durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, essendosi rifiutate di mangiare la carne di animali sacrificati agli idoli, furono consegnate al governatore Dulcezio e condannate al rogo.
Il martirio di queste tre giovani sorelle è raccontato in un documento che è una versione un po' ampliata di testimonianze genuine.
Le donne furono portate davanti al governatore della Macedonia, Dulcizio, con l'accusa di aver
rifiutato di mangiare del cibo che era stato offerto in sacrificio agli dei. Quando il Governatore chiese loro da chi avevano imparato idee così strane, Chionia rispose: "Da nostro Signore Gesù Cristo" e di nuovo lei e Agape rifiutarono di mangiare l'empio cibo e, a causa di ciò, furono bruciate vive.
Intanto Dulcizio era venuto a sapere che Irene aveva conservato in suo possesso dei libri cristiani invece di consegnarli come richiedeva la legge.
La interrogò di nuovo e lei disse che quando era stato pubblicato il decreto dell'Imperatore contro i cristiani lei e altri erano fuggiti sulle montagne. Evitò di coinvolgere le persone che le avevano aiutate e dichiarò che nessuno tranne loro sapeva che avevano i libri: "Temevamo la nostra gente quanto ogni altro" disse.  
Dopo il loro ritorno a casa avevano nascosto i libri ed erano state molto infelici perché non potevano leggerli a tutte le ore come era loro abitudine.
Il Governatore ordinò che Irene fosse denudata ed esposta in un bordello, ma là nessuno la molestava, così le fu data un'ultima possibilità di sottomettersi e poi fu condannata a morte.
Anche i libri, le Sacre Scritture, furono bruciati pubblicamente.
Altre tre donne e un uomo furono giudicati insieme a queste martiri; una delle donne fu rinviata in carcere perché era incinta.
Non è riferito cosa accadde di loro.

(Autore: Donald Attwater - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sante Agape e Chionia, pregate per noi.

*Sant'Alessandro di Sicilia - Martire Mercedario (1 Aprile)

+ Tunisi, 1317
Emblema:
Palma
Originario di Sicilia come il suo nome ci indica, Sant’Alessandro entrò nel convento Mercedario di Palermo, trasferito successivamente al convento di Bonaria (Cagliari).
Inviato in missione di redenzione in terra africana, venne accusato ingiustamente da uno schiavo rinnegato, poi bruciato vivo a Tunisi dai maomettani, davanti al palazzo di Re Muley Maomet, perchè servisse di divertimento al popolo; era l’anno 1317.
Sant'Alessandro è il primo martire del convento di Bonaria.
L’Ordine lo festeggia il 1° aprile.

(Autore: Alberto Boccali - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Alessandro di Sicilia, pregate per noi.

*Beati Anacleto Gonzalez Flores e 3 Compagni - Laici e Martiri (1 Aprile)

Scheda del Gruppo cui appartiene il Beati Anacleto Gonzalez Flores e 3 Compagni:
“Santi e Beati Martiri Messicani” (Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni)

+ Guadalajara, Messico, 1 aprile 1927
Fondatore dell'Associazione cattolica della gioventù messicana (Acjm) di Guadalajara e dell'Unione Popolare, Anacleto González Flores, meglio noto come «il maestro Cleto», fu un leader laico messicano assai famoso tra il 1915 e il 1927: la predicazione a favore del pacifismo e della non violenza nel periodo della «Guerra Cristera» (1926-1929), gli guadagnò l'appellativo di «Gandhi messicano».
Sposato e padre di due figli, era nato a Tepatitlán, Jalisco, il 13 luglio 1888.
Dopo essere stato seminarista svolse i lavori più disparati, prima di laurearsi in Giurisprudenza nel 1921.
Nel 1925 ricevette da Pio XI la Croce «Ecclesia et Pontifice» in riconoscimento alla sua opera in difesa della religiosità dei fedeli messicani.
Anacleto tentò di evitare di legare l'Unione Popolare alla Lega nazionale per la difesa della libertà religiosa, che aveva dichiarato guerra al Governo di Calles, persecutore dei cristiani, già dal 1926.
Dovette tuttavia accettare che la sua organizzazione passasse alla lotta armata, ma ciò gli costò l'arresto il 31 marzo 1927 e la morte il giorno successivo assieme a tra compagni. (Avvenire)
Nel contesto della persecuzione religiosa messicana, provocata dalla nuova costituzione promulgata nel 1917, parecchi cristiani subirono il martirio e tra essi rifulge questo gruppo comprendente otto fedeli laici dell’arcidiocesi di Guadalajara, tutti cristiani integerrimi attivamente impegnati nella difesa della libertà religiosa e della Chiesa, che furono uccisi per la loro fede cristiana tra il 1927 e il 1928.
Il 1° aprile 1927 furono uccisi Anacleto Gonzalez Flores e tre giovani dell’Azione Cattolica.
Il martirio di questi Servi di Dio fu riconosciuto il 22 giugno 2004 da Giovanni Paolo II e furono poi beatificati il 20 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI.
Anacleto Gonzalez Flores Padre di famiglia, avvocato, il “Gandhi messicano”
Tepatitlán, Messico, 13 luglio 1888 - Guadalajara, Messico, 1° aprile 1927
Fondatore dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (ACJM) di Guadalajara, questo martire della persecuzione religiosa messicana fondò anche l’Unione Popolare, conosciuta come “U”, movimento operaio, femminile, contadino e popolare, dedito alla promozione della catechesi ed
oppositore attivo del governo locale e di quello federale a causa delle misure repressive in materia di libertà religiosa.
Anacleto González Flores, meglio noto come “il maestro Cleto”, fu un leader laico assai famoso tra il 1915 e il 1927, anno in cui fu ucciso dall’esercito federale, acerrimo persecutore dei cattolici messicani, agli ordini del Presidente della Repubblica Plutarco Elías Calles.
La predicazione in favore del pacifismo e della non violenza nel periodo della “Guerra Cristera” (1926-1929), guadagnò ad Anacleto González Flores l’appellativo di “Gandhi messicano”.
Sposato e padre di due figli, era nato a Tepatitlán, Jalisco, il 13 luglio 1888, in condizioni assai umili, figlio di un tessitore che combatteva contro la dipendenza dall’acool. Fu seminarista e postulante presso i seminari di San Juan de los Lagos e Guadalajara.
Svolse poi lavori più disparati, prima di laurearsi finalmente in Giurisprudenza nel 1921, a 33 anni. Nel 1925 “il maestro Cleto” ricevette dal pontefice Pio XI la Croce “Ecclesia et Pontifice” in riconoscimento alla sua opera di evangelizzazione a favore dei più bisognosi ed in difesa della religiosità dei fedeli messicani. Anacleto González Flores tentò di evitare fino all’ultimo di legare l’Unione Popolare alla Lega Nazionale per la Difesa della Libertà Religiosa, che aveva dichiarato guerra al Governo di Calles già dal 1926.
Trascinato dagli eventi, dovette tuttavia accettare che la sua organizzazione passasse alla lotta armata, ma ciò gli costò l’arresto il 31 marzo 1927 e la morte il giorno successivo, venerdì 1° aprile, all’età di 38 anni.
I suoi aguzzini lo appesero per i pollici, dopodichè gli provocarono delle ferite con la punta della baionetta affinché rivelasse il nascondili dell’arcivescovo di Guadalajara e degli altri leader della rivoluzione “cristera”. Infine la baionetta gli penetrò il cuore e spirò.
I suoi compagni di lotta e di martirio vennero fucilati nel cortile della medesima prigione.
I resti mortali del Beato Anacleto riposano nel Santuario di Guadalupe di Guadalajara, ove accorrono parecchi fedeli spinti da venerazione nei confronti di questo martire della fede cattolica in Messico.
José Dionisio Luis Padilla Gómez Giovane dell’Azione Cattolica, asceta e mistico
Guadalajara, Messico, 9 dicembre 1899 - 1° aprile 1927
José Dionisio Luis Padilla Gómez nacque a Guadalajara il 9 dicembre 1899.
Ricevette un’accurata educazione dalla sua famiglia distinta e cristiana.
Nel 1917 entrò nel seminario conciliare di Guadalajara, ma nel 1921 lo abbandonò avendo alcuni dubbi circa la sua vocazione.
Abbandonò inoltre anche l’attività di insegnante, per dedicarsi ad impartire lezioni gratuite ai bambini e giovani più poveri. Socio fondatore e membro attivo dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (ACJM), vi svolse un’intensa opera di apostolato, in particolare nel campo della promozione sociale.
Era solito praticare apertamente la sua pietà: in casa, nelle strade ed in chiesa. Fu fervente devoto della Vergine Maria.
Quando scoppiò la persecuzione religiosa nel suo paese, si affiliò all’Unione Popolare per partecipare con mezzi pacifici alla difesa della religione cattolica.
Più volte espresse il desiderio di seguire Gesù sino al dolore, alla sofferenza ed al dono totale della propria vita. Il 1° aprile 1927, alle due di mattina, la sua casa accerchiata da un gruppo di soldati dell’esercito federale, che la saccheggiarono e poi arrestarono Luis insieme all’anziana madre ed una sorella.
Luis fu, condotto alla caserma Colorado, lungo il tragitto dovette sopportare colpi, insulti e vessazioni. Poco dopo furono arrestati e condotti alla stessa caserma anche Anacleto González Flores ed i fratelli Jorge, Ramón e Florentino Vargas González. Capendo che era ormai imminente la sua fine, Luis espresse il desiderio di confessarsi.
Il suo compagno di apostolato e di prigione, Anacleto González Flores, lo confortò affermando: “No, fratello, non è più l’ora di confessarsi, ma di chiedere perdono e di perdonare. È un Padre e non un giudice che ti attende.
Il tuo stesso sangue ti purificherà”. I quattro coraggiosi compagni di prigionia recitarono dunque l’Atto di Dolore.
Mentre Luis, inginocchiato, offriva a Dio la sua vita in fervente preghiera, i carnefici lo uccisero con le armi. Il giovane aveva solo ventisei anni.
Jorge Ramon Vargas González Giovane dell’Azione Cattolica
Ahualulco de Mercato, Messico, 28 settembre 1899 - Guadalajara, Messico, 1° aprile 1927
Jorge Ramon Vargas González nacque ad Ahualulco il 28 settembre 1899, figlio di un onorato medico e di una donna coraggiosa, integra e compassionevole, quasi paragonabile alla celebre madre dei fratelli Maccabei.
Quando ancora era bambino, la famiglia si trasferì a Guadalajara.
Qui Jorge condivise gli aneliti e le preoccupazioni di quanti soffrivano a causa della persecuzione religiosa in atto nel suo paese.
Nel 1926, quando lavorava per la Compagnia Idroelettrica, la sua casa funse da rifugio per parecchi sacerdoti perseguitati. Alla fine di marzo del 1927 la famiglia Vargas Gonzáles accolse in casa Anacleto González Flores, sapendo benissimo quanto potesse costare loro questo gesto. Anacleto divise la camera proprio con Jorge.
Improvvisamente, il 1° aprile 1927, tutti tutti gli abitanti della casa fra vessazioni e soprassalti furono arrestati e trasferiti alla caserma Colorado. I fratelli Florentino, Jorge e Ramón Vargas González furono rinchiusi nella stessa cella, colpevoli appunto di aver dato ospitalità ad un cattolico perseguitato.
Alcune ore dopo furono rinchiusi nella cella accanto alla loro Luis Padilla Gómez ed Anacleto González Flores. Jorge, attraverso le sbarre, fece capire a Luis Padilla che sarebbero stati fucilati entro breve. Si lamentò quindi per non poter ricevere la comunione quel venerdì, ma suo fratello Ramón replicò: “Non temere, se moriremo, il nostro sangue laverà le nostre colpe”. L’integrità d’animo dei fratelli non venne mai meno. Un ordine dell’ultimo momento fece separare Florentino dagli altri.
La morte di Jorge fu senza dubbio preceduta da torture, giacchè il suo corpo inerme presentava una spalla slogata e contusioni e lividi sul volto.
La cosa sicuramente certa è che, giunta l’ora, tenendo un crocifisso sul petto, ricevette la scarica congiunta del 201° battaglione che eseguì senza pietà la sentenza. Durante le esequie, la madre delle vittime, stringendo fra le sue braccia Florentino, il figlio superstite, esclamò: “Figlio mio! Quanto è stata vicina a te la corona del martirio! Devi essere più buono per meritarla”. Il padre, venuto a conoscenza di come erano morti gli altri suoi due figli, constatò: “Ora so che non sono le condoglianze che mi devono dare, ma felicitazioni perché ho la fortuna di avere due figli martiri”.
Ramón Vicente Vargas González Giovane dell’Azione Cattolica
Ahualulco de Mercato, Messico, 22 gennaio 1905 - Guadalajara, Messico, 1° aprile 1927
Ramón Vicente Vargas González nacque ad Ahualulco il 22 gennaio 1905, settimo di undici fratelli. Tre caratteristiche lo distinsero dagli altri: il colore rosso dei capelli, che gli valse il soprannome di “Colorado”, l’elevata statura e la giovialità.
Stabilitosi con la famiglia a Guadalajara, Ramón decise di seguire le orme paterne entrando nella facoltà di Medicina, ove si distinse per il suo buon umore, il suo cameratismo e la sua chiara identità cattolica.
Non appena possibile, si occupò gratuitamente della salute dei poveri. A ventidue anni, ormai prossimo a concludere gli studi universitari, accolse in casa Anacleto González Flores, che subito notò le doti di Ramón e gli propose di lavorare negli accampamenti della resistenza come infermiere.
Il giovane gli rispose: “Per lei faccio qualsiasi cosa, Maestro, ma darmi alla macchia no”.
La mattina del 1° aprile 1927 un gruppo di poliziotti prese possesso della casa dei Vargas González, la perquisirono ed arrestarono quanti vi abitavano.
Ramón mantenne la calma nonostante la sua indignazione.
Approfittando del tumulto, riuscì a fuggire in strada senza che i suoi sequestratari se ne accorgessero, ma poco dopo tornò sui suoi passi e si consegnò loro volontariamente.
I tre fratelli furono destinati alla morte, ma per mitigare la sentenza il generale di divisione Jesús María Ferreira propose di liberare il minore.
L’indulto riguardava quindi Ramón che però, senza ammettere repliche, cedette il posto a Florentino. Prima della fucilazione, Ramón fece il segno della croce. (Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beati Anacleto Gonzalez Flores e 3 Compagni, pregate per noi.

*San Celso (Cellach) di Armagh - Vescovo (1 Aprile)
1080 c. - Ard Patrick, Munster, 1 aprile 1129
Etimologia: Celso = alto, elevato, eccelso, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: In località Ardpatrick nella regione del Munster in Irlanda, San Celso, vescovo di Armagh, che promosse fortemente il rinnovamento della Chiesa.  
Cellach, detto alla latina Celso o Celestino, svolse un ruolo importante nella riforma della Chiesa irlandese nel sec. XII. Non ci resta di lui alcuna Vita, né latina, né gaelica, e le notizie sulla sua figura si ricavano dagli annali irlandesi e dalla Vita di San Malachia Ua Mogair scritta da San Bernardo di Chiaravalle.
Figlio di Aedh, della famiglia degli Ui Sinaigh, Celso nacque verso il 1080, e nel 1105, come già era avvenuto per suo nonno, pur essendo semplice laico, fu eletto arcivescovo di Armagh.
Da otto generazioni, infatti, la sede primaziale era divenuta possesso ereditario delle famiglie principesche della zona, i cui capi, pur sposati e senza ordini, la usurpavano, traendone i vantaggi
temporali e incaricando loro delegati per le funzioni ecclesiastiche.
San Bernardo, che condanna aspramente il comportamento di quelle famiglie in cui "etsi interdum defecissent clerici de sanguine illo, sed episcopi nunquam", descrive lo stato di abbandono e di trascuratezza nel quale si trovava allora l'Irlanda, un tempo tanto fiorente, e dove, allora, doveva constatarsi un "aganismus quidem inductus sub nomine christiano".
Celso, però, che San Bernardo definisce vir bonus et timoratus, ricevuti gli ordini, si fece consacrare vescovo e fin dai primi tempi del suo governo si dedicò, con uno zelo tutto particolare, al ristabilimento della disciplina ecclesiastica in tutta l'isola, e alla riaffermazione dei diritti primaziali della sua sede.
A questo fine visitò le varie contee dell'isola: I'Ulster e il Munster nel 1106, il Connaught e il Meath rispettivamente nel 1108 e nel 1110.
Nel 1111 convocò un grande concilio generale a Fiadh-Mic-Aengus, al quale assistettero una cinquantina di vescovi, trecento sacerdoti, tremila ecclesiastici, Murrough O'Brian, re dell'Irlanda meridionale, con i suoi nobili, e Gilberto di Limerick, legato papale.
In questo concilio furono promulgate sagge disposizioni per la riforma del clero e del popolo e per favorire il rifiorire della disciplina ecclesiastica.
S. Malachia Ua Mogair aiutò nella sua opera Celso, da cui era stato elevato agli ordini, consacrato vescovo di Connor e scelto come vicario generale.
Celso, che si impegnò anche negli affari temporali, svolse efficace opera di mediazione tra vari principi in lotta, e dovette subire anche angherie da parte delle famiglie degli O'Rourke e degli O'Brien. Secondo gli Annala rioghachta Eireann, egli restaurò a sue spese la cattedrale di Armagh, che da oltre un secolo era in rovina, e molte altre chiese. Fondò varie scuole e introdusse nel restaurato priorato dei SS. Pietro e Paolo i Canonici Regolari di Sant'Agostino, che ebbero colà la loro prima fondazione in Irlanda.
Nel 1121, alla morte di Samuel O' Haingley, vescovo di Dublino, Celso fu per qualche tempo amministratore di quella diocesi.
Morì ad Ard Patrick (Munster) il 1° aprile 1129 e per sua volontà fu sepolto a Lismore il 4 dello stesso mese. Prima di morire, per rompere la serie delle usurpazioni, aveva stabilito che in luogo del fratello, gli succedesse nella sede arcivescovile il vicario San Malachia.
Celso è ricordato al 1° aprile nel Félire di Máel Muire la Gormain, scritto alcuni decenni dopo la sua morte, e alla stessa data è menzionato in una nota di un ms. del sec. XV del Félire di Oengus.
Il Baronio introdusse nel Martirologio Romano al 6 aprile L'elogio di Celso, mutuandolo dal Molano. In Irlanda la festa si celebra il 7 aprile e dal 1905 sono state introdotte le lezioni storiche dell'Ufficio del santo.

(Autore: Gian Michele Fusconi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Celso di Armagh, pregate per noi.

*San Dodolino di Vienne - Vescovo (1 Aprile)

VII sec.

San Dodolino (Dodoleno, Dodolenus, Dodolinus e Dodolin) è un Vescovo della diocesi di Vienne.
Nell’ Enciclopedia dei Santi si dice che non è certa la cronologia dove inserire il vescovo Dodolino.
Infatti, in alcuni elenchi dei vescovi della diocesi figura al trentatreesimo posto, mentre in altri al trentasettesimo.
In quest’ultimo elenco non è certo il suo nome, in quanto si presume fosse chiamato Bobolin I. In qualche elenco vengono addirittura segnati come due vescovi distinti Dodolino e Bobolino I.
Di lui non sappiamo nulla. Possiamo presumere che resse la diocesi dopo il 654.
Certa è la sua festa fissata nel giorno 1 aprile.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Dodolino di Vienne, pregate per noi.

*Beato Enrico (Alfieri) d'Asti - Francescano (1 Aprile)
Asti, 1315 - Ravenna, 1401

Enrico, dei signori di Magliano, nacque ad Asti verso il 1315. Entrato tra i francescani, si mostrò subito ricco di virtù. Fu superiore della provincia minoritica genovese.
Nel Capitolo Generale del 1387 celebrato a Firenze fu eletto prima Vicario Generale, poi all’unanimità Ministro di tutto l’Ordine, che per diciassette anni governò paternamente senza diminuire penitenza e preghiere, coronate da miracoli. Presiedette sei capitoli generali, nei quali si studiò di rimettere in onore la
disciplina religiosa, che lasciava a desiderare a causa degli scismi esistenti nella Chiesa e nell’interno dell’Ordine. Ebbe il merito di favorire la riforma degli Osservanti, iniziata da fra Paoluccio Trinci da Foligno.
Fu bene accetto ai Papi Urbano VI (1378-1389) e Bonifacio IX (1389-1404). Morì a Ravenna in fama di santità nel 1401 e fu sepolto nella chiesa di San Francesco. La sua memoria cade al primo aprile.
Discendente degli Alfieri, una delle più illustri famiglie piemontesi, del ramo dei Signori di Magliano, Enrico nacque ad Asti verso il 1315; intorno ai quindici anni vestì l’abito francescano nel convento che era presso la vicina chiesa in cui era il sepolcreto di famiglia.
Enrico subentrò quindi al teologo Francesco degli Abati nella reggenza del convento francescano di Asti e nel 1372 fu eletto superiore della provincia genovese dei Frati Minori sotto cui era la sua città.
Quando morì il ministro dell’Ordine, Martino San Giorgio da Rivarolo, Urbano VI lo nominò vicario generale e nel Capitolo Generale del 1387 celebrato a Firenze il 25 maggio, in S. Croce, fu proprio lui ad essere eletto Ministro Generale. Svolse il suo incarico con prudenza e saggezza, nel turbolento periodo del Grande Scisma d'Occidente, dovendo fronteggiare i seguaci degli antipapi avignonesi Clemente VII e Benedetto XIII: Angelo da Spoleto, Giovanni di Chevegney, Giovanni Amici e Giovanni Bardolini. Enrico Alfieri celebrò vari capitoli generali: a Mantova (1390), Colonia (1392), Rimini (1396) e Assisi (1399 e 1402). Governò paternamente, senza diminuire le proprie penitenze e preghiere. Fu attento all'osservanza della regola, cercando di unire le varie componenti dell’Ordine.
Favorì inoltre l'uso del rendimento dei conti nel capitolo conventuale per evitare abusi in fatto di povertà e collaborò alla nascente riforma osservante, facilitandone la diffusione in Italia, Francia, Spagna e in altre parti d’Europa.
Nominò il beato Paoluccio Trinci, che ne era stato il promotore nel 1368, suo commissario per i primi conventi osservanti della provincia umbra e marchigiana. Ben voluto ai Papi Urbano VI (1378-1389) e Bonifacio IX (1389-1404), padre Enrico morì a Ravenna nel 1405 e venne sepolto nel pavimento della chiesa di San Francesco dei frati minori conventuali. Una lapide nel muro soprastante lo ricorda. Nel 1829 a S. Martino Alfieri, nella cappella di famiglia, fu collocata la riproduzione della lapide.
In essa leggiamo: "… uomo grave d’ogni nobil virtute esempio, per amore di religione e onestà severo censor, serbando in cor pietate sempre; atleta della fede e degli onor che il mondo ambisce spezzator modesto…". Devoto di San Giuseppe e San Francesco, promosse la festa e ufficio di nove lezioni per il primo, mentre per il Poverello approvò una grande opera: De conformitate virae Beati Francisci ad vitam Domini Iesu.
Fu scritta da fra' Bartolomeo da Pisa, ma probabilmente voluta dall’Alfieri e venne presentata nel capitolo generale di Assisi del 1399. Venerato dal popolo come Beato, Enrico Alfieri è ricordato nel Martyrologium Franciscanum il giorno 1° aprile.

(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Enrico Alfieri, pregate per noi.

*San Gilberto di Caithness - Vescovo (1 Aprile)

† 1 aprile 1244 o 1245

Martirologio Romano: A Caithness in Scozia, san Gilberto, vescovo, che costruì a Dornoch la chiesa cattedrale e allestì ospizi per i poveri; in punto di morte, raccomandò ciò che egli stesso aveva osservato durante la sua vita: non far male a nessuno, sopportare con pazienza le correzioni divine e non essere di danno a nessuno.
Figlio di William, signore di Duffus e Strabrook, Gilberto apparteneva ad una nobile famiglia del Moray in Scozia.
Dopo aver ricevuto un'ottima educazione civile e religiosa, abbracciò lo stato ecclesiastico e fu per molti anni arcidiacono del Moray, trovandosi infatti il suo nome ricorrente in parecchi
documenti tra il 1203 e il 1221.
Una leggenda, riportata dal Fordun, vuole che, giovanissimo, Gilberto sia stato chiamato nel 1176 a partecipare insieme con i capi della Chiesa scozzese al concilio di Northampton, dove con molto calore e con vivace eloquenza difese i diritti e la libertà della sua Chiesa contro le pretese dell'arcivescovo di York che avrebbe voluto sottometterla alla propria giurisdizione metropolitana.
Ora, un ecclesiastico chiamato Gilberto convenuto al concilio di Northampton del 1176, è davvero esistito, ma una già possibile identificazione con Gilberto de Moravia è tuttavia da escludere per evidenti ragioni cronologiche.
Tale identificazione deve essere stata molto più tardi per legare al nome di Gilberto, divenuto famoso per le sue virtù e per la sua santità, un fatto così importante nella storia ecclesiastica scozzese.
Dopo la morte di Adamo, vescovo di Caithness, barbaramente trucidato dai suoi sudditi, Gilberto venne chiamato nel 1223 a reggere quella sede dal re di Scozia, Alessandro II, «omnium populi et cleri roboratus assensu».
Per oltre vent'anni governò con ogni premura la sua diocesi, che dotò della bella cattedrale di Dornoch, per la quale redasse anche le costituzioni capitolari, e facendo inoltre costruire parecchi ospizi per i poveri, al tempo stesso adoperandosi incessantemente con la predicazione e con l’esempio al miglioramento morale e religioso dei suoi sudditi.
Al vescovo Gilberto di Caithness vengono attribuiti anche i due scritti Exhortationes ad ecclesiam suam e De libertate Scotiae. Morto il 1° aprile 1244 o 1245, Gilberto fu sepolto nella sua cattedrale di cui fu fatto compatrono, venendo inoltre per i vari miracoli operati in vita, onorato di culto pubblico e tenuto sempre in grande venerazione; ultimo scozzese che sia stato scritto nel catalogo dei santi prima della Riforma.
La festa di San Gilberto, vescovo di Caithness, si celebra il 1° aprile.

(Autore: Niccolò Del Re – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gilberto di Caithness, pregate per noi.

*Beato Giovanni Bretton - Martire (1 Aprile)

Scheda del Gruppo cui appartiene:
“Beati Martiri di Inghilterra, Galles e Scozia” Beatificati nel 1886-1895-1929-1987

Bretton, Inghilterra, 1527 circa – York, Inghilterra, 1 aprile 1598

Il laico coniugato John Bretton è stato beatificato il 22 novembre 1987.
Martirologio Romano: A York in Inghilterra, Beato Giovanni Bretton, martire, che, padre di famiglia, per la sua perseveranza nella fedeltà alla Chiesa di Roma, fu più volte ammonito durante il regno di Elisabetta I e, infine, sotto falsa accusa di sedizione, morì strangolato.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Bretton, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Dionigi Luigi Padilla Gòmez - Laico, Martire (1 Aprile)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Martiri Messicani"
Guadalajara, Messico, 9 dicembre 1899 – 1° aprile 1927

José Dionisio Luis Padilla Gómez, nato e cresciuto a Guadalajara in Messico, entrò nel 1917 nel seminario conciliare di Guadalajara. Ne uscì nel 1921, quasi all’inizio degli studi teologici, perché preso dai dubbi sulla propria vocazione. Si mantenne facendo l’insegnante, ma il più delle volte teneva lezioni gratuite per i ragazzi poveri. Socio fondatore e membro attivo dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (ACJM), rafforzava il suo apostolato con la preghiera, la meditazione e l’adorazione eucaristica.
Nel 1926 iniziò a pensare di tornare in seminario, ma ormai infuriava la persecuzione religiosa: si dispose quindi a dare testimonianza fino alla fine. Il 31 marzo 1927 fu arrestato in casa sua e condotto nella caserma Colorado: lì trovò gli amici Anacleto González Flores e i fratelli Jorge, Ramón e Florentino Vargas González, il quale, all’ultimo momento, fu rilasciato.
Il 1° aprile 1927, Luis fu condotto nel cortile della prigione e fucilato, con l’unico rimpianto di non essersi confessato e comunicato, dato che era il primo venerdì del mese.
Fu beatificato il 20 novembre 2005 a Guadalajara, sotto il pontificato di Benedetto XVI, insieme ai suoi compagni di martirio e ad altri nove, tra laici e sacerdoti, uccisi nella medesima persecuzione.
I suoi resti mortali sono venerati nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe ad Analco, precisamente nella cappella della Madonna di Guadalupe.
Nel contesto della persecuzione religiosa messicana, provocata dalla nuova costituzione promulgata nel 1917, parecchi cristiani subirono il martirio. Tra essi rifulge un gruppo comprendente quattro fedeli laici dell’arcidiocesi di Guadalajara, tutti cristiani integerrimi, attivamente impegnati nella difesa della libertà religiosa e della Chiesa, che furono uccisi per la loro fede il 1° aprile 1927.
Uno di essi è José Dionisio Luis Padilla Gómez, nato a Guadalajara il 9 dicembre 1899. Ricevette un’accurata educazione dalla sua famiglia distinta e cristiana. Nel 1917 entrò nel seminario conciliare di Guadalajara, ma nel 1921 lo abbandonò avendo alcuni dubbi circa la sua vocazione. Abbandonò inoltre anche l’attività di insegnante, per dedicarsi ad impartire lezioni gratuite ai bambini e giovani più poveri.
Socio fondatore e membro attivo dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana (ACJM), vi svolse un’intensa opera di apostolato, in particolare nel campo della promozione sociale. Era solito praticare apertamente la sua pietà: in casa, nelle strade ed in chiesa. Fu fervente devoto della Vergine Maria.
Quando scoppiò la persecuzione religiosa nel suo paese, si affiliò all’Unione Popolare per partecipare con mezzi pacifici alla difesa della religione cattolica. Più volte espresse il desiderio di seguire Gesù sino al dolore, alla sofferenza e al dono totale della propria vita. Venerdì 1° aprile 1927, alle due di mattina, la sua casa fu accerchiata da un gruppo di soldati dell’esercito federale, che la saccheggiarono e poi arrestarono Luis insieme all’anziana madre e a una sorella. Il giovane fu condotto alla caserma Colorado, lungo il tragitto dovette sopportare colpi, insulti e vessazioni.
Poco dopo furono arrestati e condotti alla stessa caserma anche l’avvocato Anacleto González Flores e i fratelli Jorge, Ramón e Florentino Vargas González.
Jorge, attraverso le sbarre, fece capire a Luis che sarebbero stati fucilati entro breve. Capendo che era ormai imminente la sua fine, lui si dispiacque per non essersi confessato e comunicato, visto che era il primo venerdì del mese.
Il suo compagno di apostolato e di prigione, Anacleto, lo confortò affermando: «No, fratello, non è più l’ora di confessarsi, ma di chiedere perdono e di perdonare. È un Padre e non un giudice che ti attende. Il tuo stesso sangue ti purificherà».
I compagni di prigionia recitarono dunque l’Atto di Dolore, poi vennero condotti nel cortile della prigione, per essere fucilati. Florentino Vargas González fu rilasciato quasi all’ultimo momento, perché il fratello Ramón si sostituì a lui. Mentre Luis, inginocchiato, offriva a Dio la sua vita in fervente preghiera, il plotone d’esecuzione fece fuoco. Aveva solo ventisei anni.
La causa di Luis e dei suoi tre compagni fu compresa in un elenco di potenziali martiri della diocesi di Guadalajara, con Anacleto González Flores come capogruppo. Oltre a loro, erano annoverati altri quattro laici, ovvero Ezequiel Huerta Gutiérrez, Salvador Huerta Gutiérrez, Luis Magaña Servín e Miguel Gómez Loza. L’inchiesta diocesana fu aperta il 15 ottobre 1994 e chiusa il 17 settembre 1997; il nulla osta dalla Santa Sede venne il 16 dicembre 1994. Il decreto di convalida degli atti dell’inchiesta fu emesso il 21 maggio 1999.
La "Positio super martyrio", consegnata nel 2003, fu esaminata il 15 maggio 2004 dai Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi e dopo un mese, il 15 giugno 2004, dai cardinali e dai vescovi membri della stessa Congregazione. Il 22 giugno 2004, il Papa san Giovanni Paolo II ha autorizzato la promulgazione del decreto per cui Luis e gli altri sette laici potevano essere dichiarati martiri.
La loro beatificazione è stata celebrata il 20 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI, nello Stadio Jalisco di Guadalajara. Nella stessa celebrazione sono stati beatificati altri nove martiri uccisi nella stessa persecuzione religiosa.
I resti mortali del Beato Luis Padilla Gómez sono venerati nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe ad Analco, precisamente nella cappella della Madonna di Guadalupe.
(Autore: Don Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Indeciso, un po’ tendente al pessimismo, eccessivamente scrupoloso e spiritualmente tormentato: anche così son fatti i santi, con la differenza che, nella fragilità di cui è impastata la loro natura umana, lasciano liberamente irrompere lo Spirito di Dio.
Che sempre li trasforma e di alcuni ne fa dei martiri, proprio come è successo al beato José Dionisio Luis Padilla Gómez, messicano di Guadalajara, nato il 9 dicembre 1899, ultimogenito di una famiglia molto in vista, stimata e benvoluta.
Papà muore quando lui è piccolo, i fratelli più grandi prendono la loro strada e su Luis si riversa tutto l’affetto di mamma e delle due sorelle a lui più vicine per età. Lo fanno studiare, prima in un collegio privato, poi dai Gesuiti. Qui, oltre a brillare per lo studio, si distingue anche per la sua religiosità e a 16 anni entra nella Congregazione Mariana dei gesuiti, iniziando così il suo apostolato attivo.
Sarà per le doti che gli altri notano in lui, sarà per l’illuminata direzione spirituale che riceve, fatto sta che l’anno dopo entra nel seminario diocesano di Guadalajara. Vi resta cinque anni e ne esce alla vigilia di iniziare teologia, che i superiori gli vorrebbero far frequentare a Roma: in Luis sono spuntate l’indecisione e l’insicurezza che fanno parte del suo carattere e si sente dilaniato dai dubbi. In crisi va però la sua vocazione, non certo la sua fede, anzi la sua naturale inclinazione al misticismo, che la rigida disciplina del seminario aveva parecchio mortificato, trova ora piena libertà di esprimersi.
Viene a galla una tenerissima devozione alla Madonna, insieme ad una ben salda fiducia nel Sacro Cuore, sul quale incomincia a modellare la sua vita e che gli impedisce così di scivolare in un devozionismo sdolcinato. La sua vita è intessuta di preghiera, di meditazione, di adorazione eucaristica e di apostolato intenso. Prima di entrare in seminario era stato tra i fondatori del settore Giovani dell’Azione Cattolica messicana: ora si rituffa in questo ambiente, dedicandogli la maggior parte del suo tempo.
Si mantiene facendo l’insegnante, con incarichi di supplenza o con lezioni private, il più delle volte gratuite per i ragazzi poveri; fa il correttore di bozze, tiene relazioni e conferenze dimostrandosi ferrato, oltreché in filosofia, anche in morale e mistica, ma il suo cuore continua a battere per l’Azione Cattolica.
Si distingue particolarmente nell’Unione Popolare, di cui diventa segretario, e che lo assorbe al punto da reclamarlo praticamente a tempo pieno.
«Sono un vecchio di 24 anni», lo sentono a volte esclamare: pessimismo a parte, è il lamento di un giovane dalle giornate sfibranti, che sente l’ansia di annunciare Cristo, di formare le coscienze, di preparare anche culturalmente i giovani messicani, che vorrebbe fare di più e che invece deve accontentarsi di quello che già fa.
Stringe amicizia con Anacleto Gonzalez Flores, più anziano di oltre dieci anni e così differente da lui: tanto è mistico e spirituale Luis quanto pratico e concreto è l’altro; tanto è allergico a scrivere sui giornali il primo, quanto Anacleto è portato a fare "apostolato di penna"; pacifista questi, non per nulla soprannominato il "Gandhi messicano", che rifiuta ogni compromissione con la resistenza cattolica armata, per la quale invece simpatizza Luis. Però è un’amicizia che arricchisce e fa "crescere" entrambi, e forse anche grazie alla quale Luis torna ad approfondire e fa maturare la sua iniziale vocazione.
Ad agosto del 1926 decide di tornare in seminario, ma la persecuzione ne ha fatto chiudere i battenti e bisogna attendere tempi migliori. «Quando parla è come se predicasse», dicono scherzando gli amici di lui, convinti che nel suo futuro non ci può essere altro che il sacerdozio. Mentre la persecuzione infuria, Luis sente invece che il Signore gli sta forse chiedendo la testimonianza del sangue: ne parla con serenità e vi si prepara con la preghiera.
Non si sbaglia, perché il suo attivismo nell’Azione Cattolica ha attirato l’attenzione della polizia, che nella notte del 31 marzo 1927 irrompe in casa sua e lo arresta insieme all’anziana mamma e alla sorella; ma mentre queste il mattino dopo sono rilasciate, per lui iniziano gli interrogatori e le torture prima della fucilazione, cui già è stato condannato.
Sul luogo dell’esecuzione trova con sua sorpresa anche Anacleto e altri due amici ai quali tocca la stessa sorte; lo scrupoloso e mistico Luis vorrebbe confessarsi, ma il più concreto Anacleto lo invita ad affidarsi completamente a Dio, che li attende «come padre e non come giudice». Fucilati insieme quel 1° aprile 1927 nel nome di Cristo Re, insieme sono stati beatificati con altri martiri messicani il 20 novembre 2005.

(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Dionigi Luigi Padilla Gòmez, pregate per noi.

*Beato Giuseppe Girotti - Sacerdote Domenicano, Martire (1 Aprile)

Alba, Cuneo, 19 luglio 1905 – Dachau, Germania, 1 aprile 1945
Era in fiamme l’Europa in quegli anni per la "grande guerra". Ad Alba (Cuneo), tra vicolo Rossetti e la piazza dallo stesso nome, c’era spesso un gruppo di ragazzi che giovavano rumorosi. Uno di loro – quello che sembrava il loro leader – si chiamava Giuseppe Girotti. Gli amici lo chiamavano "Beppe", in dialetto. Giocavano "da matti", ma di tanto in tanto, Giuseppe alzava gli occhi a guardare la croce svettante sul campanile romanico del duomo vicino: là dentro, la presenza di Gesù lo attirava come una calamita.
"Beppe, il capo"
Presso l’altare del duomo, Beppe andava ogni giorno a servire la S. Messa al suo parroco, buono e austero, e ai sacerdoti che passavano a celebrare, anche prestissimo, quando su Alba non spuntava ancora il giorno. A servire la Messa, portava anche i suoi amici, coetanei o più piccoli, insegnava loro le cerimonie, come un piccolo apostolo della Liturgia.
Gli altri lo stimavano e gli volevano bene, perché aveva cuore buono e largo come un mare. Lui da parte sua amava tutti, ma quando c’era da difendere i più deboli, come i suoi fratellini Giovanni e Michele, sapeva "cazzottare" a dovere i compagni che facevano "i furbi". Lo chiamavano Beppe il capo. Serviva anche il Vescovo, quando attorniato dai canonici, "pontificava" in duomo: il Vescovo allora si chiamava Mons. Francesco Re e dall’alto della sua statura si chinava a volte a dare una carezza a quel bambino dagli occhi intelligenti e dal ciuffo sbarazzino sulla fronte.
Un po’ alla volta, gli nacque in cuore un grande desiderio: "Voglio farmi prete". Lo disse al parroco, il quale gli promise un posto in Seminario, ma il posto non c’era mai. Beppe era solito frequentare anche la cappella delle Monache Domenicane di Alba e lì, da loro aveva sentito parlare con devozione di san Domenico di Guzman, "il dolce Spagnolo nostro" che aveva percorso l’Europa a predicare Gesù Cristo-Verità.
Giuseppe Girotti era nato il 19 luglio 1905 da umili genitori e ora, a 13 anni, voleva realizzare la sua vocazione. Un giorno, capitò a Alba un Padre Domenicano a predicare in duomo. Beppe ascoltò il bianco frate e volle parlargli. Gli aprì il cuore e gli disse il suo desiderio di diventare sacerdote. Il frate gli parlò chiaro: "Ma perché non vieni da noi?". Beppe rispose: "Ma io vengo subito, basta che mi lasci andare a dirlo alla mamma". (Tra parentesi: un suo compagno di giochi e di servizio all’altare, circa 70 anni dopo, mi raccontò che a volte dopo la Messa servita insieme, lui e Beppe salivano sul campanile e lassù "davanti a tutta Alba sotto il nostro sguardo, imparammo a fumare insieme una sigaretta!").
Il 5 gennaio 1919, Beppe entrò felice nel Collegio domenicano di Chieri (Torino) per iniziare gli studi. Il 30 settembre 1922, vestiva il bianco abito di san Domenico, diventando fra Giuseppe Girotti. Dopo il noviziato a "La Quercia" (Viterbo), professava i voti la prima volta il 15 ottobre 1923. Seguirono gli studi filosofici e teologici nello Studentato di Chieri. Era intelligentissimo, sempre buono come un fratello, pronto a dare una mano a tutti, son estrema generosità, lieto della gioia dei figli di Dio.
Il 3 agosto 1930, vigilia di San Domenico, Padre Giuseppe Girotti era ordinato sacerdote a Chieri da Mons. Giacinto Scapardini, domenicano, Vescovo di Vigevano: sacerdote di Cristo per sempre.
Professore
I superiori lo mandarono a Roma a seguire corsi di teologia all’Angelicum. Aveva già conseguito a S. Maria delle Rose, in Torino, il titolo di "Lettore" che lo abilitava a insegnare nelle scuole dell’Ordine. Quindi, il suo provinciale, P. Ibertis, soprannominato "Napoleone" per il suo stile "decisionista" e la piccola statura, lo inviò a Gerusalemme, a frequentare l’Ecole Biblique, fondata e diretta ancora da P. Joseph Lagrange, biblista, maestro domenicano coltissimo e esemplare.
Allievo prediletto dell’insigne studiosi, P. Girotti visse anni felici, pieni di studi intensi e di preghiera estatica nei luoghi di Gesù e di Maria. Nel 1934, era "prolita", dottore in Scienze Bibliche. Immediatamente fu destinato a insegnare Sacra Scrittura nello "Studium" domenicano
di S. Maria delle Rose a Torino. I suoi 40 allievi lo amavano subito come un fratello maggiore che – come ricorda il P. Giacinto Bosco, suo allievo di quei tempo – "non si dava mai pace finché non avesse fatto tutto il possibile per aiutare chi lo cercava".
Seguirono, nel 1936, la pubblicazione de I libri sapienziali da lui commentati, e nel 1942, Isaia commentato da P. G. Girotti, dedicato alla Madonna il 20 giugno, festa a Torino della Consolata. Due poderosi volumi che dimostrano l’enorme cultura biblica, storica, teologica del giovane esegeta. Risalta, in particolare, nel primo volume, il luminoso ritratto di Gesù, il Verbo di Dio, somma Sapienza del Padre, come viene profetizzato proprio dai Sapienziali, di Gesù, l’Amato cercato dall’amata, nel Cantico dei Cantici. Nel secondo volume – "Isaia" – è splendida la figura del Servo di Jahvé, Gesù appassionato, e crocifisso e morte sulla croce, che emerge nella contemplazione di P. Girotti, al momento dei Canti del Servo sofferente in particolare Is. 53. Molto intelligente la risposta che P. Girotti dà a coloro che parlano, senza fondamento, di "tre profeti diversi" raccolti sotto lo stesso nome di Isaia, solo per la differenza di stile: in realtà, c’è un solo Isaia, come insegna la Tradizione giudaica e cristiana, come c’è un solo Dante Alighieri, se pure con tre stili diversi, come appare nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso, le tre "cantiche" dell’unica Divina Commedia, opera dello stesso sommo Poeta! E poi, spiega sempre il prof. Girotti, "occorre credere al soprannaturale, al miracolo, alla profezia e come interventi di Dio, e non negarlo, come fanno i modernisti!".
In una parola: due grossi volumi – un vero tesoro possederli – che erano il primo saggio del grande biblista che sarebbe diventato, se la sua vita fosse stata un po’ più lunga, come Lagrange, Sales, Vaccari Spadafora… per citare solo alcuni nomi illustri.
In quel periodo ebbe molto da soffrire. Nel 1938, fu allontanato dall’insegnamento e mandato nel convento di S. Domenico a Torino. P. Giuseppe, non aprì bocca, simile al "Servo di Jahvé" del cap. 53 di Isaia, che lui spiegava sempre con accenti commossi. Quando P. Cordovani, Da Roma, conobbe il torto che gli era stato fatto, commentò: "Queste sono le prove che formano i santi".
Dottissimo e poliglotta, con il cuore semplice come un bambino, andava ogni giorno a esercitare il suo ministero sacerdotale tra i poveri e i vecchi dell’Ospizio davanti al suo convento, parlando e confessando in piemontese. Ciò che per lui contava al di sopra di tutto era amare Gesù, in se stesso, nell’Eucaristia, e poi nei poveri e nei sofferenti. Al "San Domenico", si accingeva a commentare Geremia e a pubblicare studi sul monachesimo.
Ma non rimase a lungo senza cattedra. Lo chiamarono a insegnare Sacra Scrittura all’Istituto dei Missionari della Consolata: tanta gioia nel cuore tra i suoi chierici, futuri annunciatori del Vangelo ai popoli pagani, in Africa. Ora, P. Giuseppe aveva provato sulla sua pelle e sul suo cuore che cos’è il "Getsemani" che prepara a salire il Calvario.
Fratello
Era scoppiata la 2ª guerra mondiale. I sacerdoti cattolici, mobilitati dal Santo padre, il Venerabile Pio XII, si fecero missionari di amore fino all’eroismo, sulle orme del Pontefice di Roma. Hitler puntava alla soppressione degli Ebrei e di coloro che riteneva nemici del "Reich", nei suoi lager orrendi. P. Giuseppe Girotti, come moltissimi preti, si buttò nella carità al servizio dei fratelli più abbandonati e in pericolo. "Tutto quello che faccio – si scusò con il suo Priore, perché non riusciva più a seguire gli orari della sua Comunità – è solo per la carità. Che cosa fece o tentò di fare in difesa degli Ebrei e di quanti erano perseguitati, solo Dio lo sa.
La sua azione "clandestina" venne scoperta e il 29 agosto 1944 venne arrestato dai tedeschi e rinchiuso alle "Nuove" di Torino, a S. Vittore a Milano, quindi in campo di concentramento a Bolzano. Poi sul carro bestiame: destinazione Dachau. Al giovane sacerdote, don Dalmasso, suo compagno di prigionia, disse: "Oggi è il 7 ottobre, festa della Madonna del Rosario… e diremo tanti rosari. Io da buon domenicano devo rosariare con una certa solennità".
Il 9 ottobre 1944, sera, pioveva fine e gelido a Dachau. P. Girotti e molti altri preti deportati iniziavano le ultime stazioni della loro Via Crucis. Unica certezza: condividere nel dolore e nella pace il mistero della Crocifissione e della morte di Cristo, sotto lo sguardo dolce e consolante di Maria SS.ma la Mater dolorosa del Calvario. Nell’ambiente orribile, dove il camino fumava per i cadaveri cremati, si doveva solo lavorare in modo disumano e subire le umiliazioni più atroci. P. Giuseppe, dimentico di se stesso, testimoniava l’amore di Gesù e lo donava a piene mani. Sempre disponibile ad ascoltare, a assolvere, si privava della sua piccola porzione di cibo per soccorrere i più giovani.
Da qualche tempo i preti prigionieri (Dachau era il campo di concentramento dei preti!), alle 4 del mattino, a piedi scalzi, si radunavano in uno stanzone che serviva da cappella. Uno di loro celebrava la S. Messa per tutti, gli altri ricevevano la Comunione. P. Giuseppe, fortificato da Gesù eucaristico, sapeva di andare incontro alla morte, ma sorrideva mestamente e pregava di continuo per resistere e infondere fiducia. Tra i preti che diventarono suoi amici a Dachau vi erano P. Manziana (diventerà Vescovo di Crema), Mons. Beran (diventerà Vescovo di Praga e i comunisti lo faranno prigioniero, un’altra volta), il domenicano Padre Roth e molti altri.
L’inverno era gelido a Dachau. P. Giuseppe in quel gelo mortale, diceva: "Dobbiamo prepararci a morire, ma serenamente, con le lampade accese e la letizia dei santi. Anche sotto le sferzate degli aguzzini, pregava e pregava: il suo cuore, in quell’orgia dell’odio e della morte, si dilatava in un rapporto sempre intenso con Gesù. Il Natale 1944, fu quasi sereno. P. Girotti tenne due conferenze sulle virtù teologali e un mese dopo, nel gennaio 1945, tenne un discorso in latino, durate l’ottavario di preghiere per l’unità dei cristiani: Un invito forte ai dissidenti a ritornare all’ovile della Chiesa Cattolica, unica Chiesa di Cristo; ai cattolici, a vivere in eroismo la Verità che affermano di possedere e possiedono.
Martire

Nel campo infuriava il tifo. Pulci, pidocchi, sporcizia e crudeltà. Ridotto a scheletro vivente, o si vedeva con il rosario ino, in preghiera ala Maona. Il 19 marzo 1945, celebrò l’ultima volta la festa del Sano c tan amava, come suo patrono: S. Giuseppe, di cui si proponeva, se fosse tornato a casa, di scrivere "una vita popolare".
Lo trasportarono in infermeria. Là si andava per morire. Qualcuno riuscì a portargli spesso la Comunione. Era "un cadavere" che sapeva ancora consolare e assolvere chi gli si avvicinava. Un compagno di lager – Edmond Michelet, futuro ministro di Charles De Gaulle in Francia – un giorno scriverà di lui: "Un giovane domenicano dalla figura angelica che con i suoi grandi occhi neri invocava Gesù-Viatico per la Vita eterna".
Il 1° aprile 1945, era Pasqua di risurrezione. Si sparse la voce nel lager che P. Giuseppe era morto. Si disse che era stato finito con una iniezione di benzina: una morte simile a quella di S. Massimiliano Kolbe e del beato Tito Bransdma. Aveva 39 anni. Lo seppellirono con un mucchio di duecento cadaveri, perché il forno non funzionava più. Al fondo del suo giaciglio rimasto vuoto, una mano amica scrisse:

"San Giuseppe Girotti".
La sua causa di beatificazione-canonizzazione è in corso alla Congregazione della Cause dei Santi a Roma. Biblista e dottore: ardens in studio Verbi divini. Fratello degli ultimi e martire per la carità, perché innamoratissimo di Cristo, il Servo sofferente di Jahvé, l’Agnus Dei che toglie il peccato del mondo.
(Autore: Paolo Risso)
Giuseppe Girotti nacque ad Alba (Cuneo) culla di tante figure di venerabili e fondatori, il 19 luglio 1905 da umile ma stimata famiglia. A 13 anni entrò nel seminario domenicano di Chieri (TO) per soddisfare la sua vocazione religiosa e lì nel 1930 fu ordinato sacerdote, l’anno successivo si laureò in teologia a Torino.
Si specializzò presso la celebre “Ecole Biblique” di Gerusalemme e poi si dedicò all’insegnamento della Sacra Scrittura nel Seminario Teologico domenicano di "S. Maria delle Rose" di Torino e nel contempo nel Collegio dei Missionari della Consolata.
Nel 1937, pubblicò il VI volume dell’Antico Testamento dedicato ai Libri della Sapienza; continuando il commento alla Sacra Bibbia iniziato dal domenicano padre Marco Sales, morto nel 1936.
Nel 1942 pubblicò il VII volume sul Libro di Isaia; nei due volumi profuse tutta la sua profondità di studi, esposti con chiarezza apprezzata. Stimato per la sua vasta cultura, amava esercitare il ministero sacerdotale anche tra la povera gente, specie nell’Ospizio dei “Poveri Vecchi”, vicino al suo convento.
Estese la sua pratica della carità cristiana agli ebrei, durante la persecuzione antisemita della Seconda Guerra Mondiale. In campo religioso e politico era un anticonformista, fu quindi colpito dalla sospensione dall’insegnamento e sorvegliato dal regime fascista.
Per la sua opera a favore degli ebrei, il 29 agosto 1944 fu catturato e deportato in Germania nel campo di concentramento di Dachau, dopo essere stato detenuto a ‘Le Nuove’ di Torino, ‘S. Vittore’ a Milano ed a Bologna.
In quel campo, alla periferia di Monaco, stette sei mesi, sottoposto ai maltrattamenti tipici di quei campi, sopportati con umiltà, pazienza e mansuetudine, vivificati dalla preghiera e dallo studio della Parola di Dio.
Per questo fu ammirato dagli altri religiosi e dai ministri di altre Confessioni religiose, prigionieri come lui; gli stenti e le violenze patite lo portarono alla morte a quasi 40 anni, nello stesso campo di Dachau, il giorno di Pasqua 1° aprile 1945, fra il rimpianto e la venerazione di tutti i deportati, i quali lo considerarono subito un santo.
Nel 1988, presso la Curia di Torino iniziò il Processo di beatificazione con indagine sul martirio del padre domenicano Giuseppe Girotti, tali atti proseguono presso la Congregazione per le Cause dei Santi a Roma.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giuseppe Girotti, pregate per noi.

*Beato Lodovico Pavoni - Sacerdote (1 Aprile)

Brescia, 11 settembre 1784 - Saiano, Brescia, 1 aprile 1849
Fondatore della Congregazione dei Figli di Maria Immacolata - Pavoniani.
Martirologio Romano: A Brescia, Beato Ludovico Pavoni, sacerdote, che con grande sollecitudine si dedicò all’istruzione dei giovani più poveri, nell’intento soprattutto di educarli secondo i costumi cristiani e di avviarli a un mestiere, fondando per questo la Congregazione dei Figli di Maria Immacolata.
Lodovico Pavoni nacque a Brescia l’11 settembre 1784 da genitori nobili e benestanti.
Egli si rivelò subito un ragazzo vivace e geniale, dotato di grande intelligenza, aperto a molti interessi, sensibile ai problemi sociali.
Ordinato sacerdote nel 1807, si dedicò subito ad un’intensa attività catechistica, fondando
presto un suo “oratorio” sapientemente organizzato per l’educazione cristiana dei ragazzi e degli adolescenti più poveri, precorrendo così i moderni centri educativi diurni e l’associazionismo giovanile.
Mons. Gabrio Nava nel 1812 lo sceglie quale suo segretario, pur concedendogli di continuare la direzione dell’oratorio, divenuto assai fiorente e con centinaia di assidui frequentanti. Nel 1818 lo nomina canonico del duomo e lo autorizza a dedicarsi interamente alla fondazione di un “Collegio d’arti”, che dal 1821 si chiamerà “Pio Istituto S. Barnaba”, per adolescenti e giovani poveri o abbandonati, ai quali in seguito aggiunse una sezione per sordo-muti.
Nei trent’anni che seguirono Lodovico Pavoni sviluppò un suo metodo educativo, che lo pone all’avanguardia degli Educatori più illuminati dell’800; organizzò un modello di istruzione e di avviamento al lavoro che prelude alle moderne scuole professionali; diede inizio ad un’eccezionale attività tipografica ed editoriale, precorrendo l’apostolato attuale dei mezzi della comunicazione sociale; introdusse nel mondo del lavoro sapienti riforme di assoluta novità, anticipando di mezzo secolo la dottrina sociale della “Rerum Novarum”; infine fondò la Congregazione religiosa dei Figli di Maria Immacolata, che apparve così nuova e audace (i “frati operai”) da lasciare a lungo perplesse autorità civili e religiose, che solo dopo oltre un decennio di pratiche estenuanti le diedero il riconoscimento ufficiale.
Padre Lodovico Pavoni morì il 1° aprile 1849 a Saiano, presso Brescia, vittima eroica del suo prodigarsi per portare in salvo i suoi ragazzi dal pericolo dei combattimenti delle Dieci Giornate di Brescia.
La Chiesa nel 1947 riconobbe l’eroicità delle sue virtù e lo propose come modello di vita cristiana. Papa Giovanni Paolo II lo ha dichiarato Beato il 14 aprile 2002.

(Autore: P. Giuseppe Rossi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Lodovico Pavoni, pregate per noi.

*Santa Maria Egiziaca  (1 Aprile)

Il racconto della sua vita confina spesso con la leggenda. Di sicuro era nata nel IV secolo ad Alessandria d'Egitto e si guadagnava da vivere facendo la prostituta. Fuggita da casa a 12 anni, a 29 si imbarcò su una nave di pellegrini diretta in Terra Santa.
Arrivata a Gerusalemme, volle partecipare alla festa dell'Esaltazione della Croce al Santo Sepolcro.
Prima di entrare però fu come trattenuta da una forza invisibile mentre una voce dentro di lei diceva: «Tu non sei degna di vedere la croce di colui che è morto per te tra dolori inenarrabili».
Convertitasi, andò a vivere solitaria nel deserto oltre il Giordano dove restò per 47 anni. Là fu trovata dal monaco Zosimo che le porse la Santa Comunione, promettendole di tornare l'anno successivo.
Quando fece ritorno la trovò però morta. Era probabilmente il 430. Secondo la tradizione la tomba sarebbe stata scavata da un leone con i suoi artigli. (Avvenire)

Patronato: Prostitute pentite
Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico
Emblema: Ampolla d'unguento
Martirologio Romano: In Palestina, santa Maria Egiziaca, che, famosa peccatrice di Alessandria, per intercessione della beata Vergine nella Città Santa si convertì a Dio e condusse in solitudine al di là del Giordano una vita di penitenza.
Cercare di riassumere la vita di Maria, che si presenta come una composizione di Sofronio, vescovo di Gerusalemme, attribuzione contro la quale non si è potuto portare alcun argomento decisivo, è farle perdere tutto il suo sapore, la qualità principale per cui questo racconto ha potuto avere qualche interesse; in effetti il suo carattere storico è quasi inesistente anche se, come si dirà piú oltre, è stato costruito intorno ad un iniziale nucleo reale: l'esistenza di una tomba di una santa solitaria palestinese, forse proprio di nome Maria.
Zosimo, ieromonaco di qualche laura palestinese, va, secondo l'abitudine, a trascorrere una parte della Quaresima nelle profondità del deserto. Credendo dapprima ad un'allucinazione si rende ben presto conto della realtà della sua visione: una forma femminile cui l'ardore del sole ha disseccato la pelle, senza altra veste che la sua capigliatura bianca come la lana.
Vedendo in questo incontro la volontà della Provvidenza, Zosimo cerca di avvicinarla e vi riesce solo sulla riva di un torrente, ma la sua interlocutrice non consente ad iniziare la conversazione prima che il monaco le abbia lanciato il suo mantello per coprire la sua nudità.
Dopo essersi reciprocamente benedetti si mettono a pregare e Zosimo vede Maria che levita nell'aria.
Il monaco dubita allora di trovarsi di fronte ad una macchinazione diabolica, ma Maria lo tranquillizza chiamandolo per nome. Incitata da lui Maria comincia a raccontare la sua vita.
Egiziana di origine, a dodici anni era fuggita dalla casa paterna per condurre a suo agio ad Alessandria la vita di peccato che l'ardore dei suoi sensi reclamava.
Per diciassette anni visse in questo stato.
Un giorno, vedendo dei pellegrini che s'imbarcavano per Gerusalemme, spinta dalla curiosità ed in cerca di nuove avventure, si unì al gruppo, convinta che il suo fascino le avrebbe permesso facilmente di pagarsi il prezzo del viaggio.
I suoi piaceri ebbero termine a Gerusalemme il giorno della festa della Croce: ella voleva infatti
come gli altri, entrare nella basilica, ma ogni volta che tentava di varcarne la soglia una forza interiore glielo impediva.
A questo punto sentì il richiamo del Giordano.
Uscendo dalla città uno sconosciuto le diede tre pezzi d'argento che le sarebbero serviti. ad acquistare pani che dovevano essere il suo ultimo nutrimento terrestre duratole per almeno diciassette anni. Giunta a sera sulle rive del Giordano ed avendo scorto il santuario di S. Giovanni Battista, ella vi fece una visita per pregare e quindi si recò al fiume per purificarsi.
In seguito ricevette la Comunione eucaristica e con questo viatico iniziò il suo lungo cammino nel deserto cammino che al momento dell'incontro con Zosimo durava già da quarantasette anni.
Giunta al termine del suo racconto autobiografico Maria pregò Zosimo di ritornare l'anno dopo, la sera del giovedí santo in un luogo che ella gli indicò sulle rive del Giordano, per portarle l'Eucarestia. Zosimo fu fedele all'appuntamento e Maria traversò miracolosamente il fiume per raggiungere il monaco.
Dopo essersi comunicata ed avere rinnovato l'appuntamento per l'anno successivo nel luogo del primo incontro presso il torrente, Maria riprese la sua marcia nel deserto.
Tornando l'anno dopo sulla riva del torrente Zosimo si credette da principio solo, poi scorse a terra il corpo di Maria morta, rivestito ancora del vecchio mantello da lui datole due anni prima. Una scritta sulla terra gli rivelò alcuni aspetti del mistero: "padre Zosimo sotterra il corpo dell'umile Maria; restituisci alla terra ciò che è della terra, aggiungi polvere a polvere ed in nome di Dio prega per me; sono morta nel mese di pharmouti, secondo gli egiziani, che corrisponde all'aprile dei Romani, la notte della Passione del Salvatore, dopo aver partecipato al pasto mistico".
Zosimo capì che Maria era già morta da un anno, il giorno stesso in cui le aveva dato la Santa Comunione.
Si mise subito all'opera per seppellire il corpo di lei, ma non aveva altro utensile che un pezzo di legno; aveva appena cominciato a scavare che ebbe la sorpresa di trovarsi a lato un leone che si dimostrò subito in grande familiarità con lui e che in breve tempo, su richiesta del monaco, scavò una fossa sufficiente a deporre Maria. Dopo aver ricoperto di terra il corpo della Santa, Zosimo ritornò al suo monastero, dove raccontò tutta la storia all'abbà Giovanni l'egumeno e ai suoi confratelli per loro edificazione.
Tutti sono concordi nel vedere in questa storia soltanto una pia leggenda, come ha scritto H. Delehave: "una creazione poetica, senza dubbio fra le piú belle di quante ci abbia lasciato l'antichità cristiana".
Questa creazione letteraria, tuttavia, non è tutta pura invenzione, essa non è che lo sviluppo di una tradizione palestinese che vide la luce intorno alla tomba di una solitaria locale esistita realmente.
In effetti, nella Vita di Ciriaco, opera di Cirillo di Scitovoli, l'autore racconta di una sua passeggiata nel deserto in compagnia di un certo abbà Giovanni.
F. Delmas, dopo un accurato controllo tra la Vita di Maria opera di Sofronio e, contemporaneamente la Vita di Paolo di Tebe, scritta da S. Girolamo (in cui la parte di Zosimo è sostenuta da un Antonio), ed il racconto del monaco Giovanni nella città di Ciriaco, così riassume le conclusioni del suo studio:
"1) il quadro generale della vita di S. Maria Egiziaca mi sembra ricalcato sulla vita di San Paolo eremita.
2) la vita di S. Maria Egiziaca mi sembra non essere altro che uno sviluppo retorico della vita di Maria inserita negli Atti di San Ciriaco".
Giovanni Mosco, cronologicamente posteriore a Cirillo, presenta uno svolgimento diverso della leggenda di Maria, ma malgrado le divergenze, le grandi linee dei due racconti sono abbastanza simili perché si possa concludere per l'unicità del fatto originario. al quale entrambi fanno riferimento.
Sofronio, di cui abbiamo già sottolineata la dipendenza da Cirillo, ha anche preso in prestito qualche dettaglio da Giovanni Mosco, in particolare la localizzazione della scoperta di Maria nel deserto al di là del Giordano.
Non minore fu la popolarità di Maria in Occidente.
Culto liturgico
I sinassari bizantini venerano Maria al 1° aprile, qualcuno al 3 o al 4 dello stesso mese. Questa data è in relazione con il supposto giorno della morte di Maria, un giovedí santo nel mese di pharmouthi.
Al 1° aprile Maria figura anche nel Typikon della laura di S. Saba. I calendari palestino-georgiani fanno di lei menzione il 1°, il 4 o il 6 dello stesso mese.
Il Sinaiticus 34 (X sec.) la nomina per la terza volta il 2 dicembre. Qualche calendario siriaco la menziona ancora il 1° aprile.
Il Sinassario Alessandrino di Michele, le dedica una lunga notizia proveniente dalla Vita di Sofronio al 6 barmudah e la traduzione geez di questo Sinassario ha conservato la stessa notizia al giorno corrispondente del 6 miyaziya.
Il Calendario marmoreo di Napoli menziona Maria al 9 aprile.
I primi martirologi occidentali medievali la ignorano e, a quanto sembra, Usuardo fu il primo ad introdurla al 2 aprile nel suo Martirologio con lo stesso breve elogio di S. Pelagia all'8 ottobre Pietro de' Natalibus le ha dedicato un lungo capitolo de] suo Catalogus. Il 2 aprile divenne quindi la data tradizionale della commemorazione di Maria in Occidente.

(Autore: Joseph-Maria Sauget - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Maria Egiziaca, pregate per noi.

*San Melitone di Sardi - Vescovo (1 Aprile)
Non è un Santo molto noto, ma tutti i cristiani, che amano seguire l’ufficiatura del Giovedì Santo in preparazione alla Pasqua, hanno certamente ascoltato la sua più celebre Omelia che in quel giorno viene proclamata in tutte le Chiese.
Essa è la più antica omelia pasquale cristiana giunta fino a noi, ed è tutta una contemplazione della Persona e del Mistero di Cristo, messo al centro del cosmo e della storia: «È Lui, che in una Vergine s’incarnò, che sul legno fu sospeso, che in terra fu sepolto, che dai morti fu risuscitato, che alle altezze del cielo fu elevato.
È Lui l’agnello muto, è Lui l’agnello sgozzato, è Lui che nacque da Maria, l’Agnella pura, è Lui che fu preso dal gregge e all’immolazione fu trascinato, è Lui che di sera fu immolato e di notte seppellito; è Lui che sul legno non fu spezzato, che in terra non andò dissolto, che dai morti è risuscitato.
È Lui che ha risollevato l’uomo dal profondo della tomba». Anche l’inno dell’ «Exultet», che ascoltiamo sempre con gioia durante la notte di Pasqua, s’ispira agli scritti di questo santo che fu vescovo della Chiesa di Sardi, in Asia minore sul finire del II secolo. È perciò bello ricordarlo in questo primo giorno di aprile in cui la sua festa (secondo il rito orientale) coincide con la Domenica delle Palme, che apre la Settimana Santa.
Di lui lo storico Eusebio di Cesarea ci dà una sola notizia, ma affascinante, narrando che «viveva completamente nello Spirito Santo». E sembra anche che egli sia stato uno dei primi vescovi a recarsi pellegrino in Palestina per compiere ricerche e verifiche sui luoghi biblici. Fu martirizzato nell’anno 194.
Ben poche cose si conoscono di questo personaggio; le fonti storiche tacciono quasi completamente sul suo conto e la sua abbondante produzione letteraria è quasi completamente scomparsa. Secondo Eusebio di Cesarea, Policrate, vescovo di Efeso, è il primo a fare il nome di Melitone in una lettera scritta verso il 190 al Papa Vittore per difendere l'uso asiatico di celebrare la Pasqua il 14 del mese di nisn (quartodecimani).
Per appoggiare la sua tesi Policrate citava, «fra i grandi luminari che riposano (quindi già morti) in Asia», diversi vescovi e terminava il suo elenco con il nome di Melitone «l'eunuco (cioè continente volontario), che viveva completamente nello Spirito Santo, e riposa a Sardi nell'attesa della visita che viene dai Cieli e nella quale risusciterà dai morti».
Sebbene Policrate non qualifichi esplicitamente Melitone come vescovo, il fatto che lo citi in una lista di vescovi permette di concludere che lo fosse. O. Perler, il recente editore dell'omelia di Melitone sulla Pasqua, riassume in modo assai conciso le altre scarse informazioni su di lui che si possono trarre da antichi autori: «Clemente d'Alessandria fa menzione di Melitone, ma probabilmente senza qualifica, in occasione della controversia pasquale. Delle due citazioni di Origene una sola ricorda la sua origine asiatica.
L'autore del Piccolo labirinto (Ippolito) enumera il nostro autore, strettamente legato a Sant'Ireneo, tra gli scrittori che hanno proclamato che il Cristo è Dio e uomo (Eusebio, op. cit., V. XXVIII, 5). In tutti questi testi sembra si tratti di uno stesso personaggio, scrittore e teologo, di cui si trovano tracce anche in altri autori come Apollinare di Gerapoli (?), Tertulliano, sant'Ireneo, Ippolito, Clemente, Metodio, Alessandro di Alessandria, ecc. Occorre giungere però ad Eusebio di Cesarea per trovare la qualifica di vescovo della Chiesa di Sardi.
«S. Girolamo, nel De viris illustribus riferisce che Tertulliano (montanista) "si è fatto gioco del genio elegante e retorico di Melitone nei sette libri scritti contro la Chiesa in favore di Montano, dicendo che la maggior parte dei nostri (i cattolici) lo consideravano un profeta"».
Eusebio fa l'elenco degli scritti di Melitone di cui cita anche qualche frammento nel corso di tutta la sua opera. Non è nostra intenzione riprodurre in questa sede l'elenco, ma dato che esso potrebbe essere d'aiuto per precisare la cronologia di questo santo, converrà tenere conto di alcune delle informazioni fornite da Eusebio.
Secondo O. Perler «Melitone sarebbe stato un personaggio noto già ai tempi di Antonino Pio (138-161). Al tempo di Marc'Aurelio poi, egli usava di tutte le sue risorse. A questo imperatore, infatti, indirizzò, tra il 169 e il 177, un'apologia (una difesa della filosofia, cioè del modo di vita, cristiana). Secondo un frammento tratto dalle Eclogae Melitone si recò in Oriente e visitò i luoghi santi per informarsi sul canone dei libri dell'Antico Testamento.
Un recente studio di I. Wellesz ha messo in rilievo come la già citata Omelia sulla Pasqua, oltre ad informarci sulla teologia cristologica di Melitone, è un prezioso documento che ebbe profonda influenza sull'enfatica e declamatoria letteratura innografica bizantina. Non sembra che Melitone abbia goduto di un culto molto esteso né in Oriente né in Occidente.
Diversi calendari (Acta SS., citt.) lo celebrano il 1° aprile associandolo talvolta con un omonimo vescovo di Sulcitana in Sardegna.

(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Melitone di Sardi, pregate per noi.

*San Prudenzio di Atina - Vescovo e Martire (1 Aprile)

† 313 (?)

San Prudenzio si presume sia stato, il decimo vescovo di Atina. Nell’ipotetica, cronotassi dei vescovi succede a Vigilanzio e precede Massimo. In alcuni testi è stato ipotizzato il suo episcopato, tra il 288 e il 313, anno della sua morte.
La tradizione vuole che il primo vescovo di Atina sia un San Marco di Galilea, consacrato vescovo proprio da San Pietro, dopo averlo incontrato nel suo viaggio verso Roma. L’erudito ottocentesco Giuseppe Cappelletti scrive che "visse Marco su questa sede intorno a cinquant'anni, predicando il vangelo e guadagnando alla fede cristiana più migliaia d'idolatri: terminò poi martirizzato il dì 28 aprile dell'anno 95 sotto il consolato di Massimo".
L’esistenza della diocesi, situata in provincia di Frosinone nella regione del Lazio, era attestata da una serie di manoscritti di carattere agiografico e storico. Questi documenti sono "La Passione di Marco" scritta nell’XI° secolo e attribuita a Atenolfo vescovo di Capua, la "Passione di santi martiri atinati Nicandro e Marciano", il "Chronicon civitatis Atinae", il "Catalogus episcoporum Atinensium" e il "Libellus de excidio civitatis Atinae".
Sulla veridicità di questi testi ci sono molti dubbi, tanto che Herbert Bloch riuscì a dimostrare come fossero tutti dei falsi.
Comunque, il cosiddetto catalogo dei vescovi di Atina riporta una serie di 23 presuli, successori di San Marco. La diocesi di Atina, secondo alcuni manoscritti medievali, sarebbe stata soppressa da Papa Eugenio III e il suo territorio annesso alla diocesi di Sora.
Nel testo di due anonimi atinati "Breve crhronicon atinensis ecclesiae" è riportato che il Papa Gaio, nel suo secondo anno di pontificato, ordinò San Prudenzio vescovo di Atina. Questo presule governò la diocesi per venticinque anni.
In quel testo si parla anche del suo martirio. Un giorno, il vescovo aveva tentato di rovesciare la statua di Giunione, che era in bella vista nel tempio vicino alle Terme Antoniane. E proprio per quel gesto fu ucciso dai pagani.
Il suo corpo interrato presso il tempio, dopo tre giorni, il primo di aprile fu trafugato dai cristiani e sepolto nella chiesa di San Pietro.
Se molti sono i dubbi sull’esistenza della diocesi prima del XI secolo, altrettanto lo sono quelli sull’esistenza di San Prudenzio, martire nel IV Secolo.
San Prudenzio era venerato ad Atina, che se si presume che il suo culto non sia anteriore al 1563. La sua festa si celebrava nel giorno 1 aprile.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Prudenzio di Atina, pregate per noi.

*Beato Raimondo Vincenzo Vargas Gonzàles - Giovane laico, Martire (1 Aprile)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Martiri Messicani"

Ahualulco de Mercato, Messico, 22 gennaio 1905 - Guadalajara, Messico, 1° aprile 1927
Ramón Vicente Vargas González nacque a Ahualulco de Mercato, presso Jalisco, il 22 gennaio 1905, ma si trasferì a nove anni nella città di Guadalajara, con la famiglia. Seguì le orme del padre, affermato medico, nutrendo una spiccata predilezione per i più poveri.
All’impegno come membro dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana affiancava un carattere aperto e gioviale. Fu arrestato insieme ai suoi fratelli, Jorge e Florentino, il 1° aprile 1927: la sua famiglia, infatti, aveva dato ospitalità all’avvocato Anacleto González Flores, avverso al regime del presidente Calles.
Florentino fu rilasciato all’ultimo momento, perché Ramón si sostituì a lui. Insieme a suo fratello, al loro ospite e a un altro amico, Luis Padilla Gómez, vennero fucilati nel cortile della prigione. Al momento di essere fucilato, Ramón fece il segno della croce; aveva 22 anni.
Fu beatificato il 20 novembre 2005 a Guadalajara, sotto il pontificato di Benedetto XVI, insieme ai suoi compagni di martirio e ad altri nove, tra laici e sacerdoti, uccisi nella medesima persecuzione. I resti mortali dei Beati fratelli Vargas González sono venerati nella chiesa parrocchiale di San Francesco d’Assisi ad Ahualulco de Mercato.
Nel contesto della persecuzione religiosa messicana, provocata dalla nuova costituzione promulgata nel 1917, parecchi cristiani subirono il martirio. Tra essi rifulge un gruppo comprendente quattro fedeli laici dell’arcidiocesi di Guadalajara, tutti cristiani integerrimi, attivamente impegnati nella difesa della libertà religiosa e della Chiesa, che furono uccisi per la loro fede il 1° aprile 1927.
Uno di essi è Ramón Vicente Vargas González, che nacque ad Ahualulco il 22 gennaio 1905, settimo di undici fratelli. Tre caratteristiche lo distinsero dagli altri: il colore rosso dei capelli, che gli valse il soprannome di "Colorado", l’elevata statura e la giovialità.
Era figlio di un onorato medico, Antonio Vargas Ulloa, e di Elvira González Arrias, donna coraggiosa, integra e compassionevole, quasi paragonabile alla madre dei biblici fratelli Maccabei. Quando ancora era bambino, precisamente a nove anni, si trasferì con la famiglia a Guadalajara.
Ramón decise in seguito di seguire le orme paterne, entrando nella facoltà di Medicina. Si distinse per il suo buon umore, il suo cameratismo e la sua chiara identità cattolica (era membro dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana). Non appena possibile, si occupò gratuitamente della salute dei poveri.
A ventidue anni, ormai prossimo a concludere gli studi universitari, accolse in casa l’avvocato Anacleto González Flores, oppositore delle misure repressive in materia di libertà religiosa volute dal Presidente della Repubblica Plutarco Elías Calles. Lui notò subito le doti di Ramón e gli propose di lavorare negli accampamenti della resistenza della guerra "cristera" come infermiere. Il giovane gli rispose: «Per lei faccio qualsiasi cosa, Maestro, ma darmi alla macchia no».
La mattina di venerdì 1° aprile 1927, un gruppo di poliziotti prese possesso della casa dei Vargas González, la perquisì e arrestò quanti vi abitavano. Ramón mantenne la calma nonostante la sua indignazione. Approfittando del tumulto, riuscì a fuggire in strada senza che i suoi sequestratori se ne accorgessero, ma poco dopo tornò sui suoi passi e si consegnò loro volontariamente.
I fratelli Florentino, Jorge e Ramón Vargas González furono rinchiusi nella stessa cella della caserma Colorado, colpevoli appunto di aver dato ospitalità a un cattolico perseguitato. Alcune ore dopo, furono rinchiusi nella cella accanto alla loro sia Anacleto González Flores, sia José Dionisio Luis Padilla Gómez, socio fondatore e membro attivo dell’Associazione Cattolica della Gioventù Messicana.
Jorge, attraverso le sbarre, fece capire a Luis che sarebbero stati fucilati entro breve. Intuendo che era ormai imminente la sua fine, l’altro si dispiacque per non essersi confessato e comunicato, visto che era il primo venerdì del mese.
Anacleto lo confortò affermando: «No, fratello, non è più l’ora di confessarsi, ma di chiedere perdono e di perdonare. È un Padre e non un giudice che ti attende. Il tuo stesso sangue ti purificherà».
Jorge diede quindi ragione a Luis, unendosi al suo disappunto. Ramon replicò: «Non temere, se moriremo, il nostro sangue laverà le nostre colpe». Poi, girandosi verso una finestra, gridò: «Quanto a me, di fame non mi fanno morire; lo faranno coi fucili». Quindi, quasi in tono di sfida, si mise a mangiare un panino al formaggio.
L’integrità d’animo dei fratelli non venne mai meno, e nemmeno l’affetto che li legava. Infatti, quando il generale di divisione Jesús María Ferreira propose di liberare il minore tra loro, Ramón, che di fatto lo era, cedette il posto a Florentino. I quattro prigionieri vennero quindi condotti nel cortile della prigione e lì fucilati. Prima di essere ucciso, Ramón fece il segno della Croce.
Durante le esequie, la madre delle vittime, stringendo fra le sue braccia Florentino, il figlio superstite, esclamò: «Figlio mio! Quanto è stata vicina a te la corona del martirio! Devi essere più buono per meritarla». Il padre, venuto a conoscenza di come erano morti gli altri suoi due figli, constatò: «Ora so che non sono le condoglianze che mi devono dare, ma felicitazioni perché ho la fortuna di avere due figli martiri».
La causa dei fratelli Vargas González e dei loro due compagni fu compresa in un elenco di potenziali martiri della diocesi di Guadalajara, con Anacleto González Flores come capogruppo. Oltre a loro, erano annoverati altri quattro laici, ovvero Ezequiel Huerta Gutiérrez, Salvador Huerta Gutiérrez, Luis Magaña Servín e Miguel Gómez Loza.
L’inchiesta diocesana fu aperta il 15 ottobre 1994 e chiusa il 17 settembre 1997; il nulla osta dalla Santa Sede venne il 16 dicembre 1994. Il decreto di convalida degli atti dell’inchiesta fu emesso il 21 maggio 1999.
La "Positio super martyrio", consegnata nel 2003, fu esaminata il 15 maggio 2004 dai Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi e dopo un mese, il 15 giugno 2004, dai cardinali e dai vescovi membri della stessa Congregazione. Il 22 giugno 2004, il Papa san Giovanni Paolo II ha autorizzato la promulgazione del decreto per cui Jorge e gli altri sette laici potevano essere dichiarati martiri.
La loro beatificazione è stata celebrata il 20 novembre 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI, nello Stadio Jalisco di Guadalajara. Nella stessa celebrazione sono stati beatificati altri nove martiri uccisi nella stessa persecuzione religiosa.
I resti mortali del Beato Ramón Vargas González sono venerati nella chiesa parrocchiale di San Francesco d’Assisi ad Ahualulco de Mercato, insieme a quelli di suo fratello, il Beato Jorge.

(Autore: Don Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Raimondo Vincenzo Vargas, pregate per noi.

*Beata Sofia Czeska-Maciejowska - Fondatrice (1 Aprile)
Cracovia, Polonia, 1584 - 1 aprile 1650

Fondatrice della Congregazione delle Vergini della Presentazione della Beata Vergine Maria.
Nata a Cracovia nel 1584, si è sposata, è rimasta vedova molto giovane, ha potuto istruirsi, ed è morta nella sua Città natale l’1 aprile 1650.
Si è occupata delle giovani povere e delle ragazze orfane, seguendo la sua personale regola "istruzione e formazione".
Papa Benedetto XVI in data 20 dicembre 2012 ha riconosciuto un miracolo a lei attribuito ai fini della sua beatificazione, che è stata celebrata il 9 giugno 2013.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Sofia Czeska-Maciejowska, pregate per noi.

*Beato Ugo di Bonnevaux - Abate (1 Aprile)
m. 1194
Martirologio Romano:
Nel monastero cistercense di Bonnevaux nel Delfinato in Francia, Beato Ugo, abate, la cui prudenza e carità promossero la riconciliazione tra il Papa Alessandro III e l’imperatore Federico I.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Ugo di Bonnevaux, pregate per noi.

*Sant'Ugo di Grenoble - Vescovo (1 Aprile)

Châteauneuf-sur-Lers, Delfinato (Francia), 1053 - Grenoble, 1 aprile 1132
Sant'Ugo di Grenoble venne alla luce nel 1053 a Châteauneuf-sur-Lers, nel Delfinato, e morì a Grenoble il 1° aprile 1132 dopo 52 anni di episcopato nella città francese.
Nato da nobile famiglia, fu educato dalla madre a una vita di elemosina, preghiera e digiuno. A soli 27 anni era già vescovo di Grenoble.
Da allora, per tutta la vita, conciliò con abnegazione l'attrazione fortissima verso la vita eremitica e il cenobio e la fedeltà al servizio episcopale, che svolse con grande ardore, secondo lo spirito di riforma della Chiesa che caratterizzò il pontificato di Gregorio VII. (Avvenire)

Etimologia: Ugo = spirito perspicace, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Grenoble in Burgundia, nell’odierna Francia, Sant’Ugo, vescovo, che si adoperò per la riforma dei costumi del clero e del popolo e, durante il suo episcopato, amando ardentemente la solitudine, donò a san Bruno, un tempo suo maestro, e ai suoi compagni l’eremo di Chartroux, di cui fu pure primo abate; resse la sua Chiesa per circa cinquant’anni con l’esempio premuroso della sua carità.
Un vescovo precocissimo: è stato consacrato a soli 27 anni, e messo a capo della diocesi di Grenoble.
Ma è anche un vescovo recalcitrante, che appena due anni dopo si dimette, e va a fare il monaco senza gradi in una comunità benedettina.
Però chi l’ha messo in cattedra a Grenoble non è disposto a tollerare abbandoni, neppure per umiltà.
É il Papa che vuole liberare la Chiesa da ignoranza, avidità e scostumatezza sempre più sfacciate, e
che per arrivarci è pronto allo scontro con tutti: dignitari laici ed ecclesiastici, prìncipi, re e imperatori.
É Gregorio VII, insomma: perciò Ugo, a un suo ordine, se ne ritorna a Grenoble e riprende le sue responsabilità episcopali.
Ripulisce, corregge, allontana gente indegna.
E soprattutto insegna, per sconfiggere l’ignoranza.
Lui da giovane ha studiato a Valence e a Reims, e tra i professori ha avuto anche Bruno di Colonia, il dottissimo e severo Bruno, che contribuirà alla cacciata del suo vescovo perché si è comprata la cattedra.
Papa Gregorio è ora contento di Ugo: nella sua diocesi la riforma cammina.
Ed ecco capitare a Grenoble appunto Bruno di Colonia, con un gruppetto di compagni.
L’antico professore, dopo un periodo di vita monastica a Molesme, se n’è andato perché ha in mente un progetto nuovo di comunità, che è insieme cenobio ed eremo, vita comune e solitudine, sempre sui due pilastri della preghiera e del lavoro.
Il vescovo Ugo è prontissimo ad aiutarlo, e nella zona montuosa detta Cartusia (Chartreuse, in francese) gli assegna il territorio sul quale sorgerà poi la Grande Chartreuse, luogo di nascita degli operosissimi monaci chiamati subito Certosini: una forza nuova per la rigenerazione della Chiesa.
Il vescovo Ugo serve i successori di Gregorio VII con tutta la sua energia, stimolando vivacemente anche l’opera dei monaci di Cluny, in Francia e poi in tutta Europa.
Ma rimpiangendo al tempo stesso la vita monastica, durante i pontificati (alcuni brevissimi) di Vittore III, Urbano II, Pasquale II, Gelasio II e Callisto II.
Giunto al suo sesto Papa – Onorio II, di Imola – gli chiede formalmente di essere dispensato dall’incarico di vescovo, con una motivazione che sembra ineccepibile: "Ho superato i settant’anni, sono malato, e qui ci vogliono energie nuove".
Papa Onorio non ha la grinta di Gregorio VII. Ma conosce bene Ugo e sa che cosa rappresenta per il suo popolo e per la Chiesa di Francia.
Così, gli risponde con una lettera che sostanzialmente dice: so dei tuoi anni e delle malattie; ma preferisco te malconcio a chiunque altro, anche giovane e robusto.
Così Ugo guida la diocesi anche per tutto il pontificato di Onorio. E prima di morire, dopo 52 anni di episcopato, vedrà salire in cattedra un altro Papa ancora: il romano Innocenzo II.

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ugo di Grenoble, pregate per noi.

*San Valerico (Valerio) di Leuconay - Abate (1 Aprile)

Martirologio Romano: A Lauconne presso Amiens in Francia, San Valerico, sacerdote, che attrasse non pochi compagni alla vita eremitica.  
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Valerico di Leuconay, pregate per noi.

*Santi Venanzio e Compagni - Martiri in Dalmazia e Istria (1 Aprile)
sec. III-IV
Martirologio Romano:
A Roma, commemorazione dei Santi martiri Venanzio, vescovo, e dei suoi compagni di Dalmazia e di Istria, Anastasio, Mauro, Paoliniano, Telio, Asterio, Settimio, Antiochiano e Gaiano, che la Chiesa onora con una comune lode.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Venanzio e Compagni, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (01 Aprile)
*Beato Nonio Alvares Pereira - Carmelitano
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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